sabato 19 novembre 2011

Ursula K. Le Guin, Pianeta dell'esilio

Ursula K. Le Guin

Pianeta dell’esilio



Devo dire che della Le Guin avevo letto solo la saga di Terramare, cinque libri uno più bello dell'altro, che mi avevano davvero colpito. Tra l'altro li lessi nel 2000, perché finalmente a seguito del fenomeno Harry Potter (grazie! Grazie anche solo per questo!) erano stati tradotti anche i tre che non erano prima arrivati in italiano, oltre a quelli già tradotti: Il mago (che aveva avuto un notevole successo) e a Le tombe di Atuan. Ora sto recuperando le altre opere della scrittrice, che cronologicamente sono precedenti a ciò che avevo già letto, e si sente, però contengono comunque alcuni temi interessanti e che mi potrebbero servire per il corso su Religione e fantasy.

Quest'opera è bella, per quanto ancora immatura, con troppi elementi che sarebbe stato interessante approfondire e con alcuni passaggi troppo sbrigativi e veloci. Tuttavia il mondo che Le Guin dipinge, anche con pochi tratti, è particolare, sensato ed è già impregnato di quella dolorosa percezione dell’impermanenza, del crollo di ciò che si conosce e su cui ci si basa, che oggi è così presente nel nostro quotidiano. Gli accenni alla storia precedente, alla terra d’origine lontana di cui nessuno sa più niente, neanche il nome o dove si trovi, e a come gli Alterra abbiano imparato, su un altro pianeta, a comunicare telepaticamente, tutto questo, per quanto sia descritto sinteticamente, riesce a essere molto suggestivo. Soprattutto è interessante la storia di come una civiltà muti; l’idea dell’adattamento al pianeta che impiega varie generazioni, ma alla fine dovrebbe portare a essere in grado di unirsi e generare con gli indigeni; l’idea che sia gli uni che gli altri definiscano sé stessi “umani” e considerino gli altri qualcosa di diverso, di meno, fino a che non  scoprono la vicinanza e la similitudine, se non l’uguaglianza; il fatto che l’autrice abbia pensato a una civiltà che si dà leggi per non “contaminare” un altro popolo. I due personaggi principali, Jacob Agat Alterra e Rolery, per quanto non approfonditi quanto avrebbe potuto, sono ben delineati e interessanti: due personaggi in cammino, che vanno scoprendo sé stessi e gli altri e il loro mondo con occhi nuovi. E inoltre, come avviene nella realtà, queste informazioni che si ricevono, queste rivelazioni cui si perviene, queste scoperte cui si approda arrivano in momenti comuni, quotidiani, mentre si è impegnati in altre cose, e spesso dalle persone che meno si vorrebbero vicine e con cui non c’è grande rapporto, ma che così divengono tasselli inseparabili dalla nostra esperienza di vita.

“- Allora, voi siete davvero caduti dal cielo? E per che motivo? Come avete fatto a venire da al di là del sole fino a qui?- - Te lo racconterò, se desideri saperlo, ma non si tratta solo di una leggenda, Rolery. Ci sono molte cose che ci sfuggono, ma ciò che sappiamo della nostra storia è vero. - - Ti ascolto – ella rispose, con la frase rituale (…). – Ecco, ci sono mondi, lontano, tra le stelle, e molte specie di uomini che vivono u di essi. Costruirono navi che potevano navigare nell’oscurità che separa i mondi, e continuarono a viaggiare, a commerciare ed esplorare. Si allearono tutti in una Lega (…), ma ci fu un nemico della Lega dei Mondi. Un nemico che giungeva da molto lontano. La distanza esatta non la so. I libri sono stati scritti per essere letti da uomini la cui conoscenza era superiore alla nostra…(…) Per lungo tempo la Lega si preparò a combattere quel nemico. I mondi più forti aiutarono quelli più deboli ad armarsi, a prepararsi. Il linguaggio mentale fu una delle abilità insegnate, a quanto so, e inoltre c’erano armi: i libri parlano di fuochi capaci di bruciare interi pianeti e di far scoppiare le stelle…Ebbene, durante questo periodo la mia gente giunse dal suo mondo natale a questo. Non erano in molti, Dovevano fare amicizia con il vostro popolo e vedere se volevate entrare a far parte della lega, per unirvi a essa contro il nemico. Ma il nemico arrivò. La nave che portava la mia gente ritornò là da dove era partita, per aiutare a combattere, e con essa ripartì una parte della gente, e così l’a…la cosa che ci permetteva di parlare lontano, che permetteva agli uomini di parlarsi da un mondo all’altro. Ma una parte delle persone rimase qui, forse per aiutare questo mondo se il nemico fosse giunto, o forse perché non poteva fare ritorno: non lo sappiamo. I nostri documenti dicono solo che la nave è partita. (…) Non sappiamo nulla di quanto possa essere successo dal giorno della partenza della nave. Alcuni di noi pensano che abbiamo perduto la guerra, e altri che l’abbiamo vinta, ma a caro prezzo, e che i pochi uomini rimasti su questo mondo siano stati dimenticati nel corso degli anni di lotta. Chi lo sa? Se sopravvivremo, un giorno lo scopriremo; e se non dovesse mai arrivare nessuno, costruiremo una nave e andremo a cercare la risposta…- Era triste, ironico.” (pagg. 67-68: questo è molto più verosimile di tanta fantascienza epica e roboante).

“Di nuovo cadde tra loro il silenzio, per alcuni istanti. – Com’era l’altro mondo…la vostra casa?-  - Ci sono delle canzoni che spiegano com’era – egli disse, ma quando ella chiese timidamente che cosa fosse una canzone, Agat non rispose. Dopo qualche tempo, egli disse: - A casa, il mondo era più vicino al suo sole, e l’intero anno durava meno di una fase lunare. Così dicono i libri. Se uno ci pensa, l’intero inverno durerebbe allora soltanto novanta giorni…- Questa osservazione li fece ridere entrambi. – Non avresti nemmeno il tempo di accendere il fuoco – commentò Rolery. L’oscurità vera e propria cominciava a infilarsi nella penombra dei boschi. Il sentiero davanti a loro si fece indistinto, un debole varco fra gli alberi, che a sinistra portava alla città di lei, a destra a quella di lui. Lì, nel mezzo, c’era soltanto il vento, il buio, la solitudine. La notte s’appressava rapidamente. La notte e l’inverno e la guerra, il tempo della morte. – Ho paura dell’Inverno – ella disse, molto piano. – L’abbiamo tutti – egli rispose. – Come sarà?...Noi abbiamo conosciuto soltanto la luce del sole.” (pag 50).

“…le chiese: - Che cos’è un eroplano? – La donna dei Nati Lontano sporse un poco le labbra e disse in tono d’indifferenza: - Una cosa per viaggiare, come un…be’, voi non usate neppure le ruote, come posso dirti? Hai visto i nostri carretti? Sì? Be’, questo era un carro per viaggiare, ma volava nel cielo. (…) vedi, non sappiamo tutto ciò che dovremmo sapere sugli eroplani e su molte altre cose che un tempo appartenevano al nostro popolo, poiché quando i nostri antenati venenro qui, essi giurarono di obbedire a una legge della Lega, la quale proibiva loro di usare molte cose che erano diverse da quelle usate dal popolo indigeno. (…) Con i passare del tempo, vi avremmo insegnato il modo di costruire le cose…ad esempio, il carro a ruote. Ma la Nave partì. Coloro di noi che rimasero qui erano pochi, e non giunse parole dalla Lega, e incontrammo molti nemici, in quei giorni. (…) Fu csì che perdemmo molte conoscenze e molte capacità. (…) Nei Canoni della Legge, che studiamo da bambini, è scritto: Nessuna Religione o Congruenza dovrà essere disseminata, nessuna tecnica o teoria dovrà essere insegnata, nessun modello o sistema culturale dovrà essere esportato, né si dovrà usare il linguaggio paraverbale con esseri d’intelligenza superiore non comunicanti (…).” (pag 75: la fantascienza americana, da Star Trek, in poi, queste cose le ha proprio sviscerate).

“Incespicava un poco, per la stanchezza. Ma la notte chiara e gelida gli aveva schiarito la mente, ed egli sentiva risorgere una piccola fonte di gioia che da tempo non conosceva più. Aveva la sensazione che quel piccolo sollievo, quella leggerezza di spirito, gli venisse data dalla presenza di lei. Da molto tempo si sentiva responsabile di tutto. Ella, la straniera, la forestiera, di sangue e mentalità diversi, non condivideva il suo potere o la sua coscienza o le sue conoscenze o il suo esilio. Ella non condivideva nulla di lui, ma l’aveva incontrato e si era unita a lui completamente e istantaneamente, attraverso l’abisso della loro grande diversità: come se fosse stata quella differenza, l’estraneità tra loro, a farli incontrare, e, unendoli insieme, a liberarli.” (pag 89: bellissimo, la diversità come terreno su cui è possibile incontrarsi e legarsi, e trovare una libertà più grande di quella che si era conosciuta fino a quel momento).

“- Jacob Agat, volevo chiederti…- Nel breve periodo da cui si conoscevano, ella non aveva mai imparato bene quanti fossero i pezzi in cui si divideva il suo nome, e quali pezzi dovesse usare. – Ti ascolto – egli rispose, gravemente. – Perché non trasmettete ai Gaal il vostro linguaggio della mente? Dite loro di andarsene…di andarsene. Così come hai detto a me, sulle sabbie, di correre all’isola. Come il tuo pastore ha fatto con gli hann…- - Gli uomini non sono hann – egli rispose: ed ella si accorse che Agat era l’unico di tutti loro che parlasse del proprio popolo, e di quello di lei, e dei Gaal come se tutti fossero uomini.” (pag 124: i Gaal sono gli invasori che procedono razziando e distruggendo, gli hann sono una sorta di buoi dalle lunghe corna).
 

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